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UNO SGUARDO SULLA POLITICA INTERNAZIONALE: DAL LAGO DI LECCO AL MAR NERO, PERCORRENDO LA VIA DELLE ACQUE


Sono chiare e dolci le acque di “quel ramo del lago di Como”: lezione che i quasi cinquantamila lecchesi conoscono a menadito. Al mondo esistono però anche acque, distanti alcune miglia e concettualmente opposte, assai più profonde e salate: lago e mare, due ambienti tanto diversi quanto unici, due entità differenti di una stessa famiglia. In altre parole, due ecosistemi fratelli originati dalla stessa Madre Terra. Sempre di acqua infatti si tratta, se si considera che, in ultima istanza, il globo è uno solo. 

Esiste un punto ben preciso dove il mare si fa ancora più profondo e nero, se non altro metaforicamente: racchiuso fra le coste orientali balcaniche, russe e caucasiche e infine turche. Furono proprio i turchi a ribattezzare l’area con il nome di Karadeniz, ossia Mar Nero, scelto in verità per il carattere inquieto dell’acqua e non per il suo colore.  Specchio d’acqua dal bacino circolare e parzialmente dolce, il Mar Nero pare proprio un lago.

Domenica 25 novembre, mentre a Lecco gruppi di canoisti attraversavano il lago premendo sulle pagaie, in altre acque si consumava un dramma politico di peso internazionale. Nelle medesime ore, infatti, i nostri canoisti non sono stati i soli a premere sui propri bicipiti per scostare le onde: qualcun altro si è maledettamente cimentato, ma senza pale tra le mani e in acque assai più agitate. In quest’ultimo caso non si è trattato di sport, ma di una pratica guerrafondaia: una manovra militare che pare non interessare il nostro bacino dolciastro. Nient’affatto: riguarda tutti, quindi anche i popoli lacustri, perché tocca l’intero sistema geo-politico. L’evento a cui si allude è lo scontro navale tra Russia e Ucraina avvenuto nello stretto di Kerch, che collega il Mar Nero con il Mar d’Azov, dove sono presenti cruciali porti ucraini come Mariupol: tensioni che agitano le onde, fluttuate sino alle nostre rive. Quello di Kerch è un passaggio obbligato caduto in mano ai russi dal 2014, anno in cui Putin si è strategicamente annesso la Crimea con un’operazione militare. Da allora l’Ucraina ha perso una fetta significativa di territorio con le relative riserve di gas e petrolio le cui stime, ancora in via di definizione, vanno dai 4 ai 13 miliardi di metri cubi. A queste si è ora aggiunta la perdita del controllo sullo stretto, con il pericolo di vedere bloccato l’accesso al Mare d’Azov.




Kiev accusa Mosca si aver aperto il fuoco su due imbarcazioni della propria Marina. Di contro, Mosca legittima la propria iniziativa imponendosi come unica padrona di quelle acque, oggi più nere che mai. Al conflitto segue il sequestro di tre imbarcazioni ucraine e il fermo di 24 dei loro marinai, che per il momento restano in regime di custodia cautelare fino al 25 gennaio venturo. Situazione definita “inaccettabile” dal vicepresidente delle Commissione dell’Unione europea Vladis Dombrovskis, alla cui voce si aggiunge quella del presidente dell’Europarlamento Antonio Tajani, che si è rivolto a Mosca appellandosi al rispetto della convenzione Onu sul diritto marittimo e ribadendo l’importanza di mantenere integro il territorio ucraino.

Armi in mano, quello in corso ha i connotati di una guerra. Come tale, riguarda tutti senza esclusione di colpi e molto più da vicino di quanto ci si illude: è l’acqua a suggerirlo.
La situazione è tesa e la tematica complessa e delicata, tanto che la si è dovuta prendere da lontano, con lo scopo però di avvicinarla e diffonderne la conoscenza.

Recepire i sussulti del mondo e favorire la circolazione dell’informazione anche sul fronte internazionale è responsabilità morale e civile di ogni singolo cittadino, oltre che mediatica, a maggior ragione di fronte alla gravità di fatti di tale portata. Conoscere, discutere e confrontarsi su temi che non si limitano ai confini del proprio paese è una delle meravigliose possibilità offerte da un governo di tipo democratico.

Così che i numerosissimi cittadini originari dell’est del mondo – nel 2018 solo a Lecco sono il 10,3% della popolazione- dinanzi all’orizzonte lacustre possano in qualche modo percepire più vicino il loro mare.

È dunque a loro che si dedica quest’articolo, ringraziando in particolare una signora ucraina e lecchese che per prima ha sollevato la questione.



©Silvia Calvi



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