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LO SVE: OTTIMA OPPORTUNITÀ PER VIVERE UN’ESPERIENZA ALL’ESTERO

In viaggio verso Ankara.
Partire o non partire? Su questa questione di parvenza shakespeariana si divide oggigiorno una parte importante della comunità giovanile mondiale. Personalmente mi colloco dal lato di tutti coloro che hanno optato per la prima scelta. Beninteso, nulla in contrario con quelli che invece scelgono di rimanere. Sono entrambe decisioni che richiedono all’individuo una certa dose di coraggio.

Nonostante l’interesse per un’esperienza all’estero, per molti partire potrebbe essere equiparato a fare un salto nelle tenebre. In tal caso, consiglio di prendere una lunga rincorsa e di gettarsi a gambe all’aria! Non nego la presenza del buio, ma garantisco che potrebbe essere solo nella testa dell’individuo. Mano a mano che si vive l’esperienza, la conoscenza illumina le cose del nuovo mondo che si va esplorando, sottraendo all’oscurità e all’ignoto oggetti, volti, identità e linguaggi. Poco a poco si profila nella mente dell’avventuriero una dimensione fino ad allora del tutto inesplorata. A questo punto, poco importa se questa nuova realtà sia migliore o peggiore di quella d’origine, ciò che conta ora è la pura conoscenza delle cose, sia essa condotta per mera sopravvivenza sia per puro amore del sapere. Tutto viene messo in discussione a cominciare da sé stessi e dalla propria scelta. Ci si domanda quale sia la vera ragione della partenza: si è intrapreso il viaggio nella prospettiva di una vita migliore oppure a caccia di novità?

Facciamo un salto indietro e proviamo ad affrontare il principale problema legato alla partenza: come faccio a partire? Lo SVE (EVS in inglese) è a mio avviso un’ottima opportunità per tutti coloro che in cerca di un’esperienza all’estero per dare una svolta alla propria vita. Può essere una valida alternativa alla fuga organizzata in autonomia, soprattutto se non si dispongono delle finanze necessarie per iniziare il viaggio. 

Con lo SVE si parte soli, senza però esserlo realmente. L’associazione del paese d’origine, da me in seguito indicata base organization, opera in sintonia con l’associazione ospitante estera, che chiamerò host organization. Mentre la prima fa da tramite e da mediatrice, la seconda è la vera ideatrice del progetto a cui si aderisce e si fa carico della sua realizzazione in loco. 

Per quanto concerne la mia avventura, ho preso parte ad uno SVE di due mesi intitolato Come as you are, diffuso dall’associazione bolognese Scambieuropei e proposto da Epeka, host organizzation turca attiva sul fronte della disabilità e della salvaguardia degli animali. La mia attività è consistita nell’attivazione di un laboratorio artistico in un centro disabili di Sinop, località turca sita sul Mar Nero. Obiettivo principale del mio intervento è stato quello di aiutare gli ospiti della struttura a sviluppare le loro abilità creative e manuali tramite la pittura e il disegno, ove possibile.

Ambientarsi a nuove situazioni, imparare a relazionarsi con la comunità locale e dimostrare le proprie capacità non è certo facile. Richiede umiltà, voglia di imparare, predisposizione verso il prossimo, capacità di mettersi in gioco senza farsi sopraffare dalle difficoltà oltre che una certa dose di diplomazia. Il tutto condito con santa pazienza. È comune avere la sensazione di dover ricominciare da capo la propria vita e ed facile incorrere nel rischio di farsi scoraggiare da ostacoli e complessità. È un’attività che può presentare sia delle difficoltà sia delle agevolazioni. Ad esempio può facilitare l’apprendimento linguistico e culturale, aumentare la capacità comunicare e i rapporti sociali, incrementando inoltre entusiasmo e voglia di fare. 

Chi può candidarsi per uno SVE? È un’esperienza fattibile per tutti – sì, ho detto tutti – purché siano giovani dai 18 ai 30 anni. Di progetti disponibili ce ne sono veramente molti e la possibilità di trovarne uno di proprio interesse è elevata. Inoltre, non vengono richiesti requisiti particolarmente difficili da soddisfare. Anche il livello linguistico richiesto non è mai troppo avanzato e fa riferimento per lo più alla conoscenza dell’inglese. Come si suol dire si impara strada facendo: si tratta di un’attività di volontariato che lascia dunque spazio all’apprendimento e alla crescita personale del volontario.

Solitamente durante lo SVE i volontari hanno modo di conoscere tradizioni locali prendendo parte a serate o eventi culturali locali e di esplorare il territorio grazie a gite organizzate dall’host organization oppure in autonomia con gli altri volontari e nuovi amici conosciuti in loco. Grazie ad Epeka, la mia host organization, sono partita per Ankara, capitale e principale centro politico-diplomatico del paese, mentre con nuovi amici turchi ho pianificato una fantastica fuga di due giorni in Istanbul, affascinante megalopoli percorsa dalle acque. 

Alla fine dello SVE, i risultati sono sempre soddisfacenti. Si rivelano utili per crescere anche i fatti negativi. Consiglio pertanto di non aver paura di delle situazioni difficili o ostacolanti che si possono incontrare durante lo svolgimento del servizio. Al contrario, è necessario metterle in conto prima di partire e munirsi di anticorpi per affrontarle al meglio. In fondo - ce l’hanno sempre detto parenti e insegnanti - le difficoltà rafforzano la personalità e rendono più valida l’esperienza. Per me è stato così e se potessi ripartirei nuovamente. Anzi, posso! Mi spiego meglio. Il regolamento prevede la possibilità di svolgere una seconda volta lo SVE per coloro che ne hanno svolto uno di breve termine, ossia di durata non superiore ai due mesi. Per chi lo desidera ci sono molteplici occasioni per partire! 

Per visualizzare i progetti disponibili e per reperire ulteriori informazioni a riguardo invito a consultare il sito www.scambieuropei.info.

Quest’articolo vi ha incuriosito e avete domande?
Vi invito a scrivermi all’indirizzo e-mail: calvisilvia@gmail.com oppure tramite la mia pagina facebook www.facebook.com/silvia.calvi.904.



Visualizza l'articolo pubblicato da Associazione Scambi Europei

©Silvia Calvi

GLI OCCHI DI UN'ITALIANA SU ISTANBUL


Atterro all’Aeroporto di Sabiha Gokçen alle 10.20 dell’11 novembre 2017. Sarei dovuta arrivare alle 10.00, ma il mio aereo ha tardato di circa 20 minuti.
In piedi in mezzo a decine di altre persone nella sala d’aspetto si fa notare un ragazzo sui 20 anni, alto, moro e dalla corporatura robusta: è Ozan Karagöz, amico e guida per il tour di Istanbul, organizzato nel breve weekend che si sta già consumando mentre mi avvicino a lui. 

In sole due mezze giornate Ozan promette un tour completo della megalopoli, condito con interessanti storie e aneddoti sulla città e animato dalla scoperta di tradizioni locali e luoghi emblematici. Continua proponendo di vivere due continenti in uno (giocando sul fatto che la città è divisa in due parti), di varcare confini e di navigare acque, di prendere una metropolitana subacquea e in fine di partecipare a una maratona internazionale… In breve, pare promette l’impossibile.

Racconta di sé, dei suoi studi di ingegneria, spiega in cosa consiste il suo attuale lavoro, confida hobby e passioni, descrive la sua famiglia e, senza timidezza, esterna i suoi sogni, le sue ambizioni e anche qualche simpatico aneddoto sulla sua vita privata, come quello di essere forse l’unico turco a non bere il çay, tradizionale tè, rigorosamente nero, che i turchi sono soliti degustare molto frequentemente nell’arco della giornata.
Ozan è estroverso e socievole, domanda, si mostra interessato alla mia personalità e alle mie origini, prova persino a imparare la mia lingua, anche se non sempre con successo!

Fin da subito ci muoviamo utilizzando mezzi pubblici, iniziando da un autobus per raggiungere il centro città. Niente auto, niente taxi o qualsiasi altro tipo di mezzo privato: se vuoi esplorare e conoscere un luogo, l’atteggiamento migliore da assumere è quello di stare il più possibile a contatto con esso, sia dal punto di vista sociale sia da quello logistico. Su questo io e la mia guida siamo d’accordo.

Ho potuto così verificare in prima persona l’efficienza del trasporto pubblico locale e notare che non c’è differenza con quello milanese. Pullman, traghetto, metropolitana… Ozan mi ha fatto prendere di tutto!
Simit per merenda: tipo di pane turco a forma di ciambella dalla superficie costernata di semi di sesamo e dall’impasto denso. Spuntino offerto da Ozan e consumato in tutta tranquillità sulla prua del traghetto in navigazione verso l’altra sponda di Istanbul, mentre contemplavo le acque del Bosforo mosse dal motore navale. Uno stormo di gabbiani accompagna l’imbarcazione quasi per indicarle la tratta. Comportamento anomalo, ma giustificato dalla generosità dei passeggeri che lanciano loro pezzi di cibo (soprattutto di turisti curiosi come me!).

Situata in centrale e strategica posizione sullo stretto del Bosforo si può contemplare Kiz Kulesi, in italiano La Torre della Fanciulla. Il fascino Kiz Kulesi ha sempre attratto a sé le attenzioni dello straniero, dal conquistatore al turista, divenendo oggetto di diverse leggende turche. Ozan narra la più famosa, secondo la quale un sultano fece costruire la torre come dimora per la figlia, con lo scopo di proteggerla dal destino predetto da un oracolo, che le aveva annunciato la morte provocata dal morso di un serpente velenoso. Segregata nella torre, lontano dal suolo e dai serpenti, la fanciulla poteva ricevere solo le visite del padre. Nel giorno del suo 18essimo compleanno il sultano le portò in regalo un cesto di frutta esotica. Il destino della giovane era però segnato e la storia diede ragione all'oracolo: tra la frutta si nascondeva un serpente il cui morso le fu fatale e si accasciò morente tra le braccia del padre. Da qui il nome della torre dedicata alla Fanciulla.

Piede a terra, in poco tempo ci ritroviamo nella parte europea di Istanbul. A questo punto la guida trova opportuno affrontare la questione geo-politica. Spiega che Istanbul è una città portuale situata nella parte nord-ovest del continente, attraversata dalle acque del Bosforo che divide la parte europea (Tracia) da quella asiatica (Anatolia). Quale sia la parte migliore è una questione soggettiva perché entrambe offrono molteplici e singolari attrazioni. 

Camminiamo a lungo, ci facciamo spazio tra gente, percorriamo le vie del centro imboccando anche viottoli e strade secondarie. Su e giù dai marciapiedi, superiamo incroci, andiamo da una parte all’altra della città… attenzione però alle macchine! Istanbul è molto frenetica e trafficata e gli automobilisti non sono molto pazienti! Di gente per le strade se ne incontra molta, gran parte sono stranieri o turisti come me: con i suo quasi 15 milioni di abitanti, è la città più popolosa della Turchia. Mi sembra di udire persino qualche parola di italiano, ma nel mio tour non c’è spazio per la nostalgia!

Complici stanchezza e invitanti odori di pietanze turche, la fame si fa sentire e Ozan suggerisce di pranzare con il tipico kebab, meglio se doner! Di locali ce ne sono parecchi e non resta che l’imbarazzo della scelta, ma io ho fiducia nella mia guida e ci sediamo in uno dei migliori.

Scende la sera e a sorpresa l’oscurità svela un’incantevole città più luminosa di notte che di giorno. Il riflesso delle luci nell’acqua crea l’illusione di una città sott’acqua. La serata si conclude con Lahmacun, tipo di pizza turca, un bicchiere di buon vino e un film. Ozan ha pensato a tutto, anche all’alloggio per la notte. Sistemazione confortevole e sonno ristoratore mi hanno dato la carica per affrontare un’altra intensa giornata.

Programma della domenica è la visita ai principali monumenti della città. Kebab per colazione, pronti e via! In ordine, le tappe sono state le seguenti: Sultan Ahmet camii, una delle più storiche e importanti moschee di Istanbul nota anche con il nome di Moschea Blu, a cui è seguita Ayasofya (Basilica di Santa Sofia), controverso edificio testimonianza di differenti passaggi religiosi, Yıldız Parki (Parco Yıldız), ironicamente definito da Ozan “il Central Park turco” per bellezza e rilevanza, Galata Kulesi (Torre di Galata), antica torre medievale in pietra eretta da italiani.

Passa in fretta il tempo a Istanbul e sono ore “vibranti”, arricchite da visioni, incontri, sapori, emozioni. Cosa cerchi in Istanbul? Cultura, sport, movida o cibo? Quello che cerchi puoi trovarlo senza ostacoli.

Pide e ayran: abbinamento perfetto per il mio ultimo pasto nella grande città. La prima è un genere di pizza turca dalla forma ovale solitamente condita con carne tritata, spezie e verdure, mentre la seconda è una dissetante bevanda a base di yogurt, acqua e sale e di cui la Turchia è il principale produttore.

A pomeriggio inoltrato, Ozan mi accompagna al mio ultimo pullman, direzione aeroporto. Per tutto il tour Ozan ha regalato sorrisi e, se cercati, anche abbracci. Allora stringo forte la mia guida per scacciare via la malinconia, che aspetta che il mezzo sia partito prima di andarsene. Mi saluta da sotto la pensilina della fermata. Mentre mi allontano lo vedo voltarsi, camminare lento sul marciapiede e infine sparire in mezzo alla gente, fra passanti indaffarati, turisti distratti e venditori ambulanti.

Imboccata la via del ritorno, già pianifico nella mia mente la prossima visita. Setaccio i miei impegni sul calendario dello smartphone… Sono  fortunata, non dovrò aspettare molto! Dopodiché la mia mente vaga e lo sguardo si perde oltre il vetro del finestrino, nel traffico. 


Görüşürüz Istanbul (arrivederci in turco)!

©Silvia Calvi

AMA E CAMBIA IL MONDO

Studentesse sul lungo mare di Sinop, 2017

La frase “ama e cambia il mondo” liberamente tratta dello spettacolo musicale francese di Gérard Presgurvic, ispirato a una delle opere più famose di William Shakespeare, esprime chiaramente la ragione per cui viaggio. Sognare di migliorare il mondo e lottare affinché ciò si avveri è lo scopo che mi spinge verso la meta.
Fisso un obiettivo e lo perseguo, dovessi andare fino in capo al mondo per raggiungerlo. Questa volta mi sono spinta poco fuori dai confini dell’UE, fino in Turchia.

Perché proprio lì? In realtà è stata la Turchia a scegliere me. Cercavo un progetto artistico da sviluppare insieme a persone con disabilità, per studiare in che modalità l’arte può essere d’aiuto per agevolare la loro inclusione sociale, superare le barriere, sviluppare nuove capacità e accrescere le loro abilità cognitivo-manuali, ove possibile.
Setacciando il mondo in lungo e in largo tramite il web è emerso il nome di Epeka, un’associazione che opera a Sinop, piccola località turca affacciata sul Mar Nero.

Dopo essermi documentata sul progetto che Epeka proponeva e un’attenta valutazione dei pro e i contro, ho concluso che nessuna barriera, sia linguistica, geografica o politica, mi avrebbero dissuaso dal raggiungimento del mio obiettivo.
La Turchia mi stava dando la possibilità di realizzare ciò che avevo in mente e io ho colto l’occasione al volo. Ho aderito al progetto Come as you are – titolo persuasivo-, un EVS short term di 2 mesi siglato Erasmus Plus, proposto da Epeka in collaborazione con l’associazione Scambieuropei, rivolto a giovani fino ai 30 anni.

Fiore all’occhiello della Turchia, per bellezze paesaggistiche e culturali, Sinop è stata la mia casa per 2 mesi e continua ad esserlo tutt’oggi nel cuore e nella testa. Non c’è stato giorno in cui non avessi voglia di camminare in riva al mare o nella strade del centro, fra palme e luci, pescherecci e scogli, musica e odori turchi.

Sinop è un fermento di tutte queste cose, è una città vivace e dinamica capace di dare nuovi stimoli a tutti coloro che sanno coglierli. Quest’anno Sinop è stata protagonista nell’ambito artistico locale con Sinopale, biennale d’arte internazionale che riesce a coinvolgere diverse personalità del settore per lavorare in sinergia con la popolazione del luogo.

Durante la mia esperienza non sono mancane le gite fuoriporta, nella campagna circostante e nelle principali città vicine. Con i membri di Epeka e nuovi amici conosciuti in loco, ho trascorso piacevoli soggiorni nelle affascinanti città turche di Samsun, Ankara e Istanbul. Mete d’obbligo per chiunque voglia conoscere la Turchia, queste ultime due restituiscono al visitatore un quadro completo della condizione turca, sotto ogni aspetto.

Situata nell’Anatolia centrale, Ankara è capitale e città più popolosa della Turchia dopo Istanbul. Sede del parlamento turco, del governo e delle rappresentanze diplomatiche straniere, ha un aspetto moderno e frenetico.

Come in qualsiasi altra grande capitale, in Ankara il visitatore può avere la sensazione di essere al centro del mondo. Le tappe principali sono state il Castello di Ankara seguito da una visita alla città vecchia, e l’Anıtkabir, il mausoleo di Mustafa Kemal Atatürk.

Diversa invece la sensazione che lascia Istanbul: cuore pulsante dell’industria, della finanza e della cultura turca, nonché principale attrazione turistica, è una megalopoli portuale situata nella parte nord-ovest del paese ed è attraversata dalle acque del Bosforo che divide la parte europea (Tracia) da quella asiatica (Anatolia).

Qual è la parte migliore? Naturalmente la risposta è strettamente soggettiva. Tutt’oggi non so decidermi perché hanno entrambe varie attrattive, tutte molte singolari.

Tirando le somme alla fine dell’esperienza, la Turchia mi ha nutrito sotto diverse aspetti: culturalmente, soggettivamente, artisticamente e, perché no, anche fisicamente, visto che si mangia da Dio. Pardon, da Allah, perché non bisogna dimenticare di essere in un contesto socio-culturale prevalentemente islamico, eppur molto occidentalizzato.

Sono tornata a casa a mani piene, soddisfatta di me stessa e del lavoro svolto, conclusosi con risultati positivi nella vita delle persone coinvolte, compresa la mia. Posso concludere affermando che la Turchia e io ci siamo arricchite a vicenda, divenendo ottime partner l’una per l’altra.

Visualizza il mio articolo pubblicato da Scampieuropei e da 
vari quotidiani locali lecconewscasateonlineresegoneonlinegeosnews, Epeka.


©Silvia Calvi

GELATI TOLDO: FRESCA RIVOLUZIONE IN CENTRO A LECCO

La Gelati Toldo, Via Cavour 41 a Lecco


Lecco, via Cavour. In una torrida sera estiva una ragazza entra per la prima volta in una gelateria al civico 41 accompagnata da un individuo incontrato poc’anzi. Ordina una granita, bevanda ghiacciata del tutto sconosciuta al suo accompagnatore, che però si fida e prende la medesima. Come può una persona ignorare cosa sia una granita in piena estate italiana è vicenda assai triste, troppo per essere qui narrata. Quella che viene proposta in seguito è invece tutt’altro che infelice: è la rivoluzionaria storia di un uomo e il suo gelato.

Allora ricominciamo daccapo, iniziando dal secondo ingresso della ragazza nella gelateria. Questa volta non c’è nessuno insieme a lei – quando si dice “meglio soli che male accompagnati” – e la gelateria è quasi deserta. Il motivo della desertificazione non è certo riconducibile alla scarsità di clientela, bensì alla furbizia della ragazza nel selezionare gli orari migliori della giornata per evitare la calca. 

La ragazza si allontana quando la gente ricomincia a riempire la sala, dopo circa un’ora. Non è un caso di socio fobia quello della giovane, ma un momento stappato alla frenesia della quotidianità.

La fanciulla ha compreso infatti che passare la pausa pranzo nel fresco della gelateria, degustando un eccellente cono doppio-gusto, è tempo prezioso e speso bene. Il valore aggiunto ce lo mette il titolare in persona, Alberto Pier Toldo, arricchendo il tutto con interessanti aneddoti che non lasciano certo indifferente. Si tratta di vicende legate alla sua storica e gloriosa attività di conduzione familiare, di sogni e di buoni propositi per il futuro, ma anche di ricerca e innovazione che vedono il gelato al centro di studi ingegneristici e alimentari. I primi legati ai macchinari per produrlo, mentre i secondi al suo ruolo nella dieta delle persone e, perché no, anche dei nostri “fido”. Il tutto per rispondere alla diversa alimentazione di un pubblico sempre più articolato e complicato: da sportivi a intolleranti, da diabetici a vegani, dalla massa di buongustai ai palati fini degli chef.  

Appena entri nella Gelati Toldo ti accorgi subito della particolarità della sua produzione: il gelato è non è agiato stantio nelle tradizionali vasche che tutti conosciamo, bensì in contenitori circolari e – caratteristica ancora più sorprendente - “si muove”. I contenitori sono infatti inarrestabili miscelatori che con il loro braccio metallico amalgamano il gelato sotto gli occhi sbalorditi dei clienti che possono osservare i gusti addensarsi ininterrottamente al loro interno. Non che il gelato di Toldo trascuri la tradizione, la quale rimane un incrollabile baluardo dal 1925 (anno di fondazione della gelateria), arricchita però da metodi e da ingredienti al passo con un mondo che cambia. 

Cosa bolle - o meglio raggela - in pentola da Toldo? Si sta consolidando una nuova avventura professionale che implica un viaggio oltre oceano. Allo stesso modo degli ingredienti nei miscelatori, l’originale iniziativa gira e rigira nel pensiero creativo e irrequieto di Pier  - come lo chiamano gli intimi – da circa un anno a questa parte. Di questo sogno, ormai ad un passo dal divenir reale, nulla si può svelare per il momento. Del resto è ben noto a tutti che la riservatezza gioca un ruolo fondamentale in ogni esperimento cruciale, la cui riuscita può determinare una svolta storica nella vita di un uomo e dell’universo tutt’intorno.

Tuttavia una cosa appare nitida agli occhi di tutti: la Gelati Toldo parla da sola ed è sufficiente fare un incursione nel punto vendita di Lecco o di Tirano per rendersi conto della portata innovativa di quest’eccelsa attività artigianale. Non mancano le sorprese che vedono sempre il gelato come protagonista indiscusso di tutta la produzione, pur nelle sue varianti. Si tratta di un gelato all’“imperativo”, il quale si legittima una posizione centrale nell’alimentazione, costruendosi un impero attorno a sé.

Come? Reso compatibile con diverse tipologie di diete e culture culinarie, questo gelato si svincola dall’etichetta di prodotto dolciario per inserirsi in un ambito alimentare più generico. Ne risulta un prodotto docile e sfaccettato, capace di avere più di una posizione all’interno della piramide alimentare: da dessert o merenda qual’era unicamente in origine, mira ora ad adattarsi ad ogni tipo di pasto della giornata e a inserirsi all’interno di ricette sensibili alle esigenze del consumatore, cercando di coprire un raggio che sia il più ampio e democratico possibile. 


La Gelati Toldo è reperibile sul web al sito www.dal1925gelatitoldo.com e sulla pagina facebook www.facebook.com/Mipiace-il-gelato.

Articolo ©Silvia Calvi
Foto ©Gelati Toldo


FARE LA DIFFERENZA: IL GELATO TRA SCIENZA E FOOD DESIGNER NELLA NOTTE DEI RICERCATORI A PARMA.


Make a difference direbbero gli anglosassoni. C’è differenza fra un pistacchio con il 10% di zuccheri, uno con il 13,7% e un altro con il 20%. Sappiamo tutti che lo zucchero, potente esaltatore di sapori, è buono e utile in pasticceria. È altresì vero che è un veleno e fa male.

Ciò è stato ben compreso da quelli della Gelati Toldo, dell’Essenza Gelato e dai ricercatori del Dipartimento di Scienza dell’Alimentazione dell’Università di Parma. Dalla loro collaborazione ne è scaturita un’incredibile mole di studi a proposito. È risaputo che i dolciumi intossicano meno l’organismo di chi segue una dieta sana ed equilibrata, unita ad una regolare attività fisica. Messa così, sembra facile smaltire gli zuccheri. Non risulta tuttavia così scontato mantenere un simile stile di vita.

Per quanto riguarda l’Italia, i dati parlano chiaro: attualmente non è questa la condotta della maggioranza delle persone che nel triennio 2014-2017. Il portale Epicentro del Centro Nazionale di Epidemiologia ha infatti registrato che circa quattro italiani su dieci sono in sovrappeso, notizia ancora più preoccupante se si considera che le categorie sono i bambini. In una alimentazione così mutata, un innocuo gelato potrebbe costituire un problema per molti.

Sulla questione i produttori assumono generalmente due diverse condotte: quelli che incrementano i propri guadagni sfruttando l’aumento della richiesta di cibi-spazzatura e quelli che invece si adattano ai cambiamenti proponendo prodotti innovativi che mirino a pilotare il mercato verso una deriva più positiva ed etica. Navigano in questa direzione gli studiosi e i produttori che sono stati presenti a Parma, ove hanno esposto un tipo di gelato amico della salute, creato secondo le regole della cosiddetta etichetta pulita, con materie prime pure e di origine vegetale, senza additivi e con ridotto contenuto di grassi e zuccheri, non precludendo però ai consumatori il piacere e la soddisfazione di gustare un buon alimento, il più irrinunciabile e famoso della dieta italiana.
Solo dei creativi potevano cimentarsi in una simile produzione. Non è un elogio a questi produttori, ma un legittimo riconoscimento della maniera etica di operare di questi professionisti non devoti al mercato, bensì alla pratica del loro mestiere. Durante la Notte dei Ricercatori a Parma, i tantissimi utenti che hanno circondato il loro stand nel Campus delle Scienze dell’università, hanno potuto letteralmente assaggiare non una merce, ma una vivanda che per sua natura non sarà mai standardizzabile o incanalabile in qualche anonimo sistema industriale. Questi marchi puntano a divenire ambasciatori dell’eccellenza italiana nel mondo non solo per quanto riguarda il gelato come prodotto in sé, ma anche l’etica nel produrlo, minimizzando costi, sprechi, impatto ambientale e selezionando ingredienti naturali destinati a rimanere integri. Come? Attraverso una lavorazione il meno possibile invasiva. Accettati così come sono, essi costituiscono la base e la sostanza che dona cremosità e leggerezza al gelato. La manipolazione artigianale resta l’unica consentita e avviene sotto gli occhi dei consumatori. O almeno, in questa direzione punta il team. Fondamento della loro filosofia è infatti la trasparenza, mettendo al bando i segreti del mestiere: parafrasando il discorso di Toldo, titolare della gelateria a Lecco, quando si tratta di nutrimento non c’è nulla da nascondere. Anzi, i clienti hanno diritto di sapere cos’è e come viene prodotto ciò che mangiano. Disvelare, istruire e diffondere: Parma è servita proprio a questo.

Co-protagonista della manifestazione è stato il nuovo sistema di produzione Coolella, presentato dal food designer Paolo Barichella, che permette di ottenere un gelato di alta qualità in tempistiche ridotte e, soprattutto, fuori dalla gelateria. Proprio così: si tratta di un sistema pensato per esportare il prodotto in altri contesti e amplificare il suo impiego in vari ambiti che vanno dalle cucine dei ristoranti ai banconi di pub e caffetterie, fino ad entrare nelle nostre case. Barichella ha dimostrato al pubblico la semplicità con cui Coolella permette a chiunque di fabbricare un gelato di qualità. Il procedimento è essenziale e non lascia grandi margini di errore: basta aggiungere gli ingredienti desiderati alla miscela preconfezionata in cialde e lasciare che mille fiori sboccino.

Un fiore per ognuna della miriade di gusti di gelato consentite da tale sistema, destinato a rivoluzionarne la produzione e renderla accessibile a tutti. Chissà che un giorno non ci sorprenderà avvistare tribù di Tuareg consumare una coppetta fra le dune.

©Silvia Calvi

DIPINGI IL PARADISO ALEX, CHE TUTTO BIANCO FA SCHIFO.



Nel giorno di Ognissanti Alessandro Caligaris si appresta a dipingere l’immenso spazio bianco offerto dal Paradiso. L’artista è spirato la sera di martedì 30 ottobre, ma il motivo della sua morte e la lunghezza della sua agonia sono dettagli che hanno il peso di un pettegolezzo. La sua vita, il suo impegno sociale e la miriade di opere da lui prodotte non possono e non devono essere messi in ombra dalla mera cronaca di un disgraziato incidente. Per ciò non se ne farà alcun cenno in quest’articolo. Merita attenzione invece il suo operato. Torinese, classe 1981, dopo il diploma all’Accademia Albertina di Torino si specializza in arte-terapia clinica al Lyceum di Milano. La sua carriera artistica diviene da subito di notevole portata: eccellente fumettista e street artist, autore delle due note graphic novel  Hoarders Revolu-Show pubblicate con Eris Edizioni e di Blue Boy, il suo ultimo fumetto dove assume il doppio ruolo di disegnatore e operatore sociale affrontando il tema dell’autismo attraverso la storia del protagonista.
L’attività di Caligaris non si limita alla scrivania: passa per mostre, workshop e grafica pubblicitaria. Dai primi anni Duemila si occupa di workshop didattici, laboratori artistici e setting di arte terapia destinati a più tipologie di utenti, anche ai bambini con disabilità, tra cui quelli autistici. 
Un artista intraprendente, un attivista sensibile di cui è giusto parlarne ancora al presente.

Qui il suo sito web, dove potete godere delle sue creazioni. 

Illustrazione e articolo ©Silvia Calvi


TRE DONNE DI LECCO ALLA MARATONA DI ISTANBUL


Calpesteranno le strade di Istanbul le tre Wir lecchesi Elena Montanelli, Margherita Sgobbi e Silvia Calvi.
Le prime due fanno parte dell’associazione podistica da più di un anno, mentre l’ultima solamente da pochi mesi, ma fra loro c’è stato subito feeling, frutto del clima propizio instaurato nel gruppo di Lecco, sempre più affiatato e i cui membri hanno all’attivo parecchie maratone corse in Italia e all’estero. Svolteranno i suoi vicoli, attraverseranno i suoi quartieri, saliranno su uno dei suoi colossali ponti e da esso si affacceranno sul Bosforo, ammirandolo in tutto il suo splendore. Istanbul la conosceranno correndo: la guarderanno negli occhi percorrendo la spina dorsale che collega le sue membra asiatiche da quelle europee. Questa città è più poetico immaginarla con sembianze femminili: un’affascinante e misteriosa dama velata che attende il visitatore per mostrare ad esso la metamorfosi dell’imponente civiltà ottomana. Le contraddizioni che hanno segnato questa megalopoli nel corso della storia sono parte integrante della sua identità.
Sabato 10 novembre alle 7.10 le tre runners voleranno da Malpensa all’Aeroporto di Istanbul Atatürk. Dopodiché non saranno più sole: una volta atterrate all’Aeroporto di Istanbul Atatürk verranno accolte da Ozan Karagöz, brillante ingegnere di Istanbul che per l’occasione vestirà i panni della guida turistica, animando il loro fugace soggiorno fino a lunedì 12 novembre. Il giorno successivo alla gara, le atlete lecchesi dovranno infatti sostenerne un’altra: quella che si potrebbe definire una “maratona culturale” tra monumenti, pazar e luoghi di culto. La vera maratona è invece prevista per le 9.00 di domenica 11 novembre.
La lunghezza massima dell’impresa sportiva è di 42 km, ma le tre si fermeranno al quindicesimo. L’impresa umana invece non si quantifica. Aprire il cuore e lo spirito ad altre culture è il valore aggiunto che conferisce qualità all’impresa.

©Silvia Calvi

Lecconews



UNO SGUARDO SULLA POLITICA INTERNAZIONALE: DAL LAGO DI LECCO AL MAR NERO, PRENDENDO LA VIA DELLE ACQUE


Sono chiare e dolci le acque di “quel ramo del lago di Como”: lezione appresa dai quasi cinquantamila lecchesi che ogni giorno ne godono in varia misura. Al mondo esistono però anche acque, distanti alcune miglia e concettualmente opposte, assai più profonde e salate: lago e mare, due ambienti tanto diversi quanto unici, due entità differenti di una stessa famiglia. In altre parole, due ecosistemi fratelli originati dalla stessa Madre Terra. Sempre di acqua infatti si tratta, se si considera che, in ultima istanza, il globo è uno solo. Esiste un punto ben preciso dove il mare si fa ancora più profondo e nero, se non altro metaforicamente: racchiuso fra le coste orientali balcaniche, russe e caucasiche e infine turche. Furono proprio i turchi a ribattezzare l’area con il nome di Karadeniz, ossia Mar Nero, scelto in verità per il carattere inquieto dell’acqua e non per il suo colore.  Specchio d’acqua dal bacino circolare e parzialmente dolce, il Mar Nero pare proprio un lago.

Domenica 25 novembre, mentre a Lecco gruppi di canoisti attraversano il lago premendo sulle pagaie, in altre acque si consuma un dramma politico di peso internazionale. Nelle medesime ore, infatti, i nostri canoisti non sono stati i soli a premere sui propri bicipiti per scostare le onde: qualcun altro si è maledettamente cimentato, ma senza pale tra le mani e in acque assai più agitate. In quest’ultimo caso non si è trattato di sport, ma di una pratica guerrafondaia: una manovra militare che pare non interessare il nostro bacino dolciastro. Nient’affatto: riguarda tutti, quindi anche i popoli lacustri, perché tocca l’intero sistema geo-politico. L’evento a cui si allude è lo scontro navale tra Russia e Ucraina avvenuto nello stretto di Kerch, che collega il Mar Nero con il Mar d’Azov, dove sono presenti cruciali porti ucraini come Mariupol: tensioni che agitano le onde, fluttuate sino alle nostre rive. Quello di Kerch è un passaggio obbligato caduto in mano ai russi dal 2014, anno in cui Putin si è strategicamente annesso la Crimea con un’operazione militare. Da allora l’Ucraina ha perso una fetta significativa di territorio con le relative riserve di gas e petrolio le cui stime, ancora in via di definizione, vanno dai 4 ai 13 miliardi di metri cubi. A queste si è ora aggiunta la perdita del controllo sullo stretto, con il pericolo di vedere bloccato l’accesso al Mare d’Azov.


Kiev accusa Mosca si aver aperto il fuoco su due imbarcazioni della propria Marina. Di contro, Mosca legittima la propria iniziativa imponendosi come unica padrona di quelle acque, oggi più nere che mai. Al conflitto segue il sequestro di tre imbarcazioni ucraine e il fermo di 24 dei loro marinai, che per il momento restano in regime di custodia cautelare fino al 25 gennaio venturo. Situazione definita “inaccettabile” dal vicepresidente delle Commissione dell’Unione europea Vladis Dombrovskis, alla cui voce si aggiunge quella del presidente dell’Europarlamento Antonio Tajani, che si è rivolto a Mosca appellandosi al rispetto della convenzione Onu sul diritto marittimo e ribadendo l’importanza di mantenere integro il territorio ucraino.

Armi in mano, quello in corso ha i connotati di una guerra. Come tale, riguarda tutti senza esclusione di colpi e molto più da vicino di quanto ci si illude: è l’acqua a suggerirlo.
La situazione è tesa e la tematica complessa e delicata, tanto che la si è dovuta prendere da lontano, con lo scopo però di avvicinarla e diffonderne la conoscenza.

Recepire i sussulti del mondo e favorire la circolazione dell’informazione anche sul fronte internazionale è responsabilità morale e civile di ogni singolo cittadino, oltre che mediatica, a maggior ragione di fronte alla gravità di fatti di tale portata. Conoscere, discutere e confrontarsi su temi che non si limitano ai confini del proprio paese è una delle meravigliose possibilità offerte da un governo di tipo democratico.

Così che i numerosissimi cittadini originari dell’est del mondo – nel 2018 solo a Lecco sono il 10,3% della popolazione- dinanzi all’orizzonte lacustre possano in qualche modo percepire più vicino il loro mare.

È dunque a loro che si dedica quest’articolo, ringraziando in particolare una signora ucraina e lecchese che per prima ha sollevato la questione.


©Silvia Calvi



SCONOSCIUTI AL CITOFONO, I TIMORI DI CHI È SOLO E LE DRITTE DEI CARABINIERI


Lunedì 31 dicembre alle 19:00 il campanello di un’abitazione sita nel rione di Castello a Lecco suona continuamente per circa mezz’ora o forse più, rompendo il silenzio della via momentaneamente spopolata.

L’inquilina è una ragazza sola che non aspetta visite. Complice la mancanza di un videocitofono, la paura prende il sopravvento e la giovane preferisce non rispondere sin dalla prima citofonata.

L’accaduto apre l’inevitabile questione sulla condotta da assumere in questi casi: è opportuno rendersi reperibili quando ci si sente in pericolo? Quanto è conveniente per una ragazza farsi scoprire sola in casa, in particolare nei dì festivi?

La nota formula “non aprire a sconosciuti, veri o presunti, quando si è in casa da soli” non è solo una regola che parenti e genitori inculcano ai loro pargoli, bensì anche uno dei preziosi consigli in materia di protezione della casa divulgati dai Carabinieri. Alla luce dei numerosi femminicidi che saturano la cronaca nera può certo risultare conveniente seguire questa semplice istruzione salvavita, tutt'al più se si è donne sole in casa la sera di capodanno.

Di fronte all’incessante suono la giovane si spaventa e decide di chiamare un’amica, la quale le consiglia di rivolgersi al 112. In seguito, sia l’amica che i Carabinieri si presentano sul luogo svelando l'arcano. Un altro inquilino si enuncia l’artefice, spiegando di essere rimasto accidentalmente chiuso fuori dall’ingresso principale. Le motivazioni dell’uomo risultano troppo titubanti al giudizio delle due donne, ma risultano sensate ai Carabinieri, che concludono con la consueta prassi e consigliando alla ragazza di rispondere almeno al citofono per evitare in futuro simili equivoci.

Facendo appello però testo dell’Arma, complessivamente l’atteggiamento più idoneo risulta quello che assicura la libertà di arbitrio di ogni singolo individuo ai fini di tutelare la propria sicurezza, compresa quindi la scelta di rispondere o meno al campanello di casa.

L’intero testo sulla protezione della casa è reperibile alla voce Servizi per il cittadino del sito dell’Arma dei Carabinieri www.carabinieri.it.
Le festività non sono ancora finite e le succitate indicazioni possono essere utili strumenti per le persone che le trascorreranno in solitudine. 


Pubblicato da LeccoNews

©Silvia Calvi

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